lunedì 9 novembre 2009

ERA DAVVERO IL NEO-LIBERISMO L'UNICA ALTERNATIVA AL MODELLO SOCIO-ECONOMICO DELL'URSS?


Di seguito riportiamo un'interessante articolo, apparso recentemente su Internazionale, di Slavoj Zizek intellettuale e filosofo slovacco, il quale ci fornisce un interessante visione riguardo alla caduta del muro di Berlino e alle sue conseguenze sia nei Paesi Europei che dell'Est.

Parlare degli avvenimenti di vent’anni fa come di un “miracolo” è diventato un luogo comune. Si è avverato un sogno, è successa una cosa inimmaginabile, una cosa che sembrava impossibile appena due mesi prima: libere elezioni, disintegrazione dei regimi comunisti, crollati come un castello di carte. In Polonia chi poteva immaginare delle libere elezioni con Lech Walesa presidente?Un miracolo ancora più grande, però, è avvenuto un paio d’anni dopo, quando elezioni libere e democratiche hanno riportato al potere gli ex comunisti e Walesa è diventato improvvisamente molto meno popolare del generale Wojciech Jaruzelski, lo stesso che aveva schiacciato Solidarnosc con un colpo di stato militare.
La spiegazione comune di questo secondo ribaltamento parla di aspettative “immature” della popolazione, che aveva un’idea irrealistica del capitalismo: volevano la botte piena e la moglie ubriaca, volevano le libertà e le ricchezze del capitalismo democratico, ma senza pagare il prezzo di vivere in una “società del rischio”, cioè senza perdere la sicurezza e la stabilità (più o meno) garantite dai regimi comunisti.

Come hanno osservato i sarcastici commentatori occidentali, la nobile lotta per la libertà e la giustizia si è rivelata una specie di corsa frenetica alle banane e alla pornografia. Finito l’entusiasmo del giorno della vittoria, il mattino dopo la gente ha dovuto farsi passare la sbronza e sottoporsi a un doloroso processo di apprendimento delle regole della nuova realtà, cioè del prezzo che si paga per la libertà politica ed economica.

L’inevitabile delusione, quando è arrivata, ha scatenato tre reazioni, opposte o sovrapposte: la nostalgia per i “bei vecchi tempi” del comunismo, il populismo nazionalista di destra e la nuova paranoia anticomunista. Le prime due sono facili da capire. La nostalgia del comunismo non va presa troppo sul serio: più che esprimere un vero desiderio di tornare alla grigia realtà del socialismo, è una forma di lutto, un modo garbato di sbarazzarsi del passato. Quanto all’ascesa del populismo di destra, non è un’esclusiva dell’est europeo, ma una caratteristica comune a tutti i paesi intrappolati nel vortice della globalizzazione. Lo strano revival dell’anticomunismo è più interessante perché dà una risposta semplice alla domanda: “Se il capitalismo è davvero migliore del socialismo, perché la nostra vita fa ancora schifo?”. La spiegazione è che non viviamo davvero nel capitalismo, perché in realtà comandano ancora i comunisti, travestiti da padroni e manager.
È ovvio che la maggioranza dei cittadini dell’Europa orientale che protestavano contro i regimi comunisti non chiedeva il capitalismo: voleva solidarietà e qualche forma di giustizia, magari rozza; voleva la libertà di vivere senza controlli da parte dello stato, di riunirsi e di parlare come preferiva; voleva una vita semplice, onesta e sincera, finalmente libera dall’indottrinamento ideologico e dalla cinica ipocrisia dominante. Come fecero notare molti analisti perspicaci, gli ideali che spingevano le persone in piazza facevano riferimento proprio all’ideologia socialista al potere: si aspirava a una cosa la cui migliore definizione è “socialismo dal volto umano”.

Ma il realismo capitalista è davvero l’unica risposta all’utopia socialista? Dopo la caduta del muro di Berlino è davvero arrivata l’era della maturità capitalistica che ha messo fine a tutte le utopie? E se anche quell’era si fosse fondata su un’utopia? Il 9 novembre 1989 ha annunciato l’arrivo dei “felici anni novanta”, l’utopia della fine della storia proposta da Francis Fukuyama, la convinzione che la democrazia liberale avesse vinto, che la ricerca fosse terminata, che l’avvento di una comunità planetaria globale e liberale fosse dietro l’angolo, e che gli unici ostacoli al grande lieto fine hollywoodiano fossero semplici sacche locali di resistenza, dove i governanti non avevano ancora capito che era suonata la loro ora. Invece l’11 settembre è il simbolo della fine dei felici anni novanta clintoniani e annuncia l’era successiva, in cui nuovi muri spuntano da tutte le parti: tra Israele e Cisgiordania, attorno all’Unione europea, lungo il confine Stati Uniti-Messico, ma anche all’interno degli stati.

A quanto pare, insomma, l’utopia di Fukuyama è morta due volte. L’11 settembre 2001 è crollata l’utopia politica liberal-democratica, e il crac finanziario del 2008 ha annunciato la fine della sua dimensione economica. Nel momento in cui il liberismo si presenta come anti-utopia incarnata e il neoliberismo si propone come contrassegno della nuova era, in cui l’umanità ha ormai abbandonato i progetti che sono stati responsabili degli orrori totalitari del novecento, è sempre più chiaro che il vero periodo dell’utopia sono stati gli anni novanta, con la loro fede che l’umanità avesse finalmente trovato la ricetta del perfetto ordine socioeconomico.......

Questa riflessione è da fare nostra, in quanto comunisti e rivoluzionari del nuovo millennio.
Avendo sempre criticato a fondo, nel Novecento, le scelte autoritarie e repressive dei governi dell'URSS post-rivoluzionario, e la loro impostazione di politica economica ed estera volta alla creazione di un Imperialismo Rosso contrapposto a quello a stelle e strisce, non possiamo che trovarci oggi dalla parte della più assoluta ragione storica.
In URSS, nel '17, i bolscevichi hanno preso il potere, ma in seguito il socialismo, quello vero, quello di cui parla Marx, non è mi stato applicato.

Da Marxisti rivoluzionari oggi abbiamo la coscienza pulita, non abbiamo nulla da ripudiare se non quelle degenerazioni che abbiamo sempre combattuto.

Lanciamo questo spunto alle altre forze della sinistra comunista italiana e internazionale, poiché crediamo che questa sia una questione fondamentale da redimere per ripartire oggi, con più entusiasmo e realismo, verso la costruzione del socialismo internazionale.

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